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KEP energy - EEE research news

Research Area
QUADRO CLIMA-ENERGIA
  • AZIONE GLOBALE AVVERSO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
  • STRATEGIA DELL'UNIONE EUROPEA IN AMBITO CLIMA-ENERGIA
  • ENERGY-POLICY UE NEL SETTORE DELLE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI
  • ENERGY-POLICY UE NEL SETTORE DEGLI EDIFICI
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01 – azione globale avverso il cambiamento climatico
 
La tematica dell’efficienza energetica può essere inquadrata nel più ampio scenario dello sviluppo sostenibile. La sostenibilità, o meglio ecocompatibilità, dell’azione antropica a livello globale è una questione complessa che intreccia molteplici dinamiche a livello non solo ecosistemico, ovvero effetti dell’uomo in rapporto alla natura, ma anche a livello socio-economico, ovvero effetti dell’uomo in rapporto a sé stesso. Con il termine sviluppo si intende un progresso della civiltà, che dall’epoca primitiva ha portato all’epoca post-moderna tramite una continua evoluzione della scienza e della tecnica. Con il termine sostenibile si intende la gestione del rapporto causa-effetto innescato da tale sviluppo.
La prima, e forse più nota, definizione del concetto di ‘sviluppo sostenibile’ risale al 1987 ed è contenuta nel ‘Rapporto Bruntland’: “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Nel tempo si sono susseguite varie altre definizioni, più o meno in linea con la prima, tra le quali si riporta la definizione data nel 1991 dal World Conservation Union, UN Environment Programme and World Wide Fund for Nature: “miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende’’. Si osserva che la definizione del 1987 si limita a mettere in rapporto l’uomo di oggi con l’uomo di domani, mentre quella del 1991, oltre a rapportare l’uomo con sé stesso nel trascorrere del tempo (miglioramento della qualità della vita) lo rapporta anche con il contesto ambientale-naturale con cui interagisce e su cui va a gravare.
I cambiamenti climatici sono una delle principali problematiche dell’epoca post-moderna. La comunità internazionale, e in particolare l’ONU – Organizzazione Nazioni Unite, già da tempo ha preso coscienza dell’impatto ecosistemico a scala globale delle attività antropiche. Sono state osservate negli ultimi decenni una serie di evidenze scientifiche, tra cui la riduzione della biodiversità, il rischio estinzione di numerose specie animali e vegetali, lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello dei mari. La teoria più accreditata è che tali fenomeni siano principalmente dovuti all’aumento di temperatura della superficie terrestre, dovuto all’immissione in atmosfera di rilevanti quantitativi di gas a effetto serra, che amplificano il plafond naturale di effetto serra che stabilizza la temperatura a livello di superficie terrestre. Tra questi la CO2, anidride carbonica, pur non essendo il gas a maggiore potenziale serra, è quello quantitativamente più rilevante.
Nel 1992 si è svolto a Rio de Janeiro, in Brasile, il summit UNCED – United Nations Conference on Environment and Development. In tale occasione è stato siglato il trattato internazionale UNFCCC – United Nations Framework Convention on Climate Change. Obiettivo del trattato era ‘‘raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico’’. Il trattato prevedeva successive Conferenze delle Parti (COP), aventi lo scopo di fissare limiti vincolanti di emissioni di gas serra.
In occasione della terza Conferenza delle Parti (COP 3), svoltasi nel 1997 a Kyoto, in Giappone, viene negoziato il Protocollo di Kyoto, pietra miliare dell’azione internazionale avverso il cambiamento climatico, in quanto per la prima volta vengono fissati limiti vincolanti di emissioni di gas serra, in riferimento a sei composti:
  • CO2, anidride carbonica
  • CH4, metano
  • N2O, protossido di azoto
  • HFC, idrofluorocarburi
  • PFC, perfluorocarburi
  • SF6, esafluoruro di zolfo
Nonostante i complessi meccanismi di effettiva entrata in vigore dell’accordo, che ne hanno limitato di fatto il potenziale di efficacia, è essenziale che a Kyoto sia stato stabilito come principio la competenza della comunità internazionale in materia di cambiamenti climatici, a prescindere dai particolarismi dei singoli Paesi. Che sia stato stabilito, inoltre, il valore vincolante di accordi presi in sede di COP.
Successive, numerose COP indette nel corso degli anni non sono state tuttavia in grado di raccogliere l’eredità di Kyoto, risolvendosi spesso in dis-accordo tra i Paesi partecipanti.
Una svolta è arrivata in occasione della ventunesima Conferenza delle Parti (COP 21), organizzata a Parigi, Francia, nel 2015. Oggetto di negoziazione è stato un ampio accordo internazionale, noto come ‘Accordo di Parigi’ in cui vengono fissati tre obiettivi fondamentali:
  • limitare l'aumento della temperatura media della superficie terrestre a 1,5 C rispetto ai livelli preindustriali
  • rafforzare la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e promuovere forme di sviluppo a basse emissioni di gas serra
  • gestire le risorse economiche in modalità compatibile con uno sviluppo a basse emissioni di gas serra
Lo schema di COP priodiche sta proseguendo nel tempo e continua ad essere il punto di riferimento dell’azione internazionale volta a contrastare il cambiamento climatico, sia a livello di cause (antropiche) che di effetti (ecosistemici e socio-economici).
Contemporaneamente alle evidenze scientifiche relative al surriscaldamento globale, era stata osservata anche una drastica riduzione della fascia di ozono presente negli strati alti dell’atmosfera terrestre, avente la funzione essenziale di assorbire la componente ultravioletta a maggiore intensità energetica della radiazione solare. Tale componente, se giungesse a livello della superficie terrestre, risulterebbe nociva per le specie viventi.
Anche in questo caso l’alterazione degli equilibri naturali terrestri è dovuta all’azione antropica, e in particolare al rilascio in atmosfera di composti quali CFC e HFC, composti di sintesi ampiamente utilizzati come fluidi refrigeranti. Tali composti, stabili e leggeri, una volta dispersi tendono a portarsi verso gli alti strati dell’atmosfera terrestre, dove permangono e intercettano le molecole di ozono O3, caratterizzate da legame molecolare debole, riducendole a molecole di ossigeno O2, caratterizzate da legame molecolare forte.
Per fare fronte alla problematica rilevata, nel 1987 a Montreal, Canada, è stato siglato un trattato internazionale, noto come ‘Protocollo di Montreal’, avente lo scopo di ridurre progressivamente la produzione e l’uso di composti dannosi per l’ozonosfera, quali i CFC – CloroFluoroCarburi e i BFC – BromoFluoroCarburi, fino a giungere alla completa eliminazione entro il 2030. Alcuni decenni di phase-out, che hanno visto prima l’eliminazione dalla filiera di produzione, poi dalla commercializzazione di composti vergini, poi ancora dalla commercializzazione di composti rigenerati.
Durante il Novecento i gas R11, R12, R22 hanno dominato il mercato della refrigerazione. Il phase-out dei CFC e BFC ha posto quindi una serie di problematiche a livello di ricerca industriale, in quanto si è reso necessario individuare nuovi fluidi refrigeranti, possibilmente simili per comportamento termodinamico e stabilità chimica ai CFC e BFC, ma non dannosi per l’ozonosfera. Sono stati al tempo stesso rivalorizzati composti naturali quali l’ammoniaca NH3 e l’anidride carbonica CO2. Ad oggi tale ricerca è ancora in atto.
Al fine di rapportare gli impatti ambientali di un qualunque composto con le dinamiche di surriscaldamento globale e di riduzione dell’ozonosfera, sono stati definiti due parametri di valutazione, ampiamente utilizzati a livello di LCA – Life Cycle Assessment, ma comunque generalizzati a tutti i livelli, definiti rispettivamente come:
  • GWP – Global Warming Potential, indicatore numerico che esprime il potenziale di effetto serra di un composto, in rapporto al potenziale della CO2 posto convenzionalmente pari a 1
  • ODP – Ozone Depletion Potential, indicatore numerico che esprime il potenziale di distruzione dell’ozono in alti strati dell’atmosfera di un composto, in rapporto al potenziale del gas refrigerante R11 triclorofluorometano posto convenzionalmente pari a 1

02 - Strategia dell’Unione Europea in ambito clima-energia

La visione strategica e programmatica dell’Unione Europea è stata improntata fino dalle origini ad un ruolo di primo piano in rapporto all’azione internazionale avverso i cambiamenti climatici, fissando obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra tendenzialmente più spinti rispetto a quanto previsto dagli impegni sottoscritti in sede di Conferenza delle Parti (COP).
L’UE ha colto l’opportunità di combinare la riduzione delle emissioni con il parallelo aumento dell’efficienza energetica, intesa come riduzione del consumo di energia primaria, con ciò conseguendo un duplice vantaggio. Da un lato limitare il consumo di combustibili fossili, che è la principale origine di emissioni. Dall’altro svincolarsi dall’importazione di combustibili fossili da Paesi extra-UE, e quindi attenuare la propria dipendenza energetica, aumentando contestualmente l’autonomia politica rispetto ad aree instabili del pianeta quali il medio-oriente e l’area di influenza russa.
Al fine di non compromettere la competitività del settore industriale, con rischio di delocalizzazione delle attività produttive in Paesi in via di sviluppo, e al tempo stesso di non gravare sul sistema socio-economico, sono state individuate le fonti energetiche rinnovabili come principale alternativa ai combustibili fossili. Il fuel-swtich da combustibili fossili a fonti energetiche rinnovabili dovrebbe consentire una transizione verde mantenendo il corrente tenore di intensità energetica. Rapportata alla sfera economica, l’intensità energetica può essere letta in chiave di TEP/€, ovvero di rapporto tra consumo energetico (convenzionalmente quantificato in TEP – Tonnellate Equivalenti di Petrolio) e PIL – Prodotto Interno Lordo generato.
20-20-20 è la sigla del primo e ad oggi più rilevante insieme di misure in ambito clima-energia che abbiano ricondotto ad un unico target condiviso a scala comunitaria il variegato panorama di contesti nazionali. Mirando al 2020 come deadline, l’UE si è posta l’obiettivo di:
  • aumentare del 20 % l’efficienza energetica, riducendo del 20 % il consumo di energia primaria
  • coprire tramite fonti rinnovabili il 20 % del consumo finale lordo di energia
  • ridurre del 20 % le emissioni di gas serra al 2020 rispetto al 1990
L’insieme di misure 20-20-20 ha consentito di gestire in ottica unitaria il periodo post-Kyoto, ovvero la transizione tra il periodo di adempimento del Protocollo, concluso nel 2013, e l’attuale fase di Green Deal europeo. L’obiettivo posto è risultato effettivamente conseguito, in parte anche per fattori di attenuazione dell’intensità energetica, quali la pandemia Covid.
L’Europa mira su lungo termine, ovvero al 2050, a divenire il primo continente a impatto climatico zero. Al fine di delineare un riferimento a medio termine, ovvero al 2030, gli obiettivi 20-20-20 sono stati rimodulati tramite il “2030 framework” rispettivamente:
  • aumentare del 39 % l’efficienza energetica, rapportata al consumo di energia primaria
  • aumentare del 32,5 % (in seguito riformulato 36 %) l’efficienza energetica, rapportata al consumo di energia finale
  • coprire tramite fonti rinnovabili il 32 % (in seguito riformulato 42,5 %) del consumo finale lordo di energia
  • ridurre del 40 % (in seguito riformulato 55 %) le emissioni di gas serra al 2020 rispetto al 1990
La logica sottesa alla fissazione di target temporalmente distanti è che per conseguire obiettivi ambiziosi occorre attivarsi con ampio anticipo rispetto alla deadline, tramite una policy combinata che vada a interessare in maniera sinergica i settori di edifici, industria e trasporti.
La logica sottesa alla gradualità dei target nel tempo è consentire al sistema socio-economico in generale, e al settore industriale in particolare, le necessarie fasi di adattamento e assestamento.
Il Green Deal europeo è attualmente una delle principali politiche dell’Unione Europea che, attraverso obiettivi espliciti di valenza ambientale, mira implicitamente ad obiettivi di sviluppo socio-economico e competitività industriale a livello comunitario, e ad assumere il ruolo di leader della transizione verde a livello globale.
Il Green Deal europeo fissa a lungo termine, 2050, l’eliminazione completa delle emissioni di gas serra, e a medio termine, 2030, la riduzione del 55 % rispetto al 1990.
Il pacchetto di misure “Fit for 55” contiene gli strumenti attuativi della policy delineata, e specificamente:
  • definire il ritmo di riduzione delle emissioni fino al 2050 per garantire prevedibilità alle imprese, ai portatori di interessi e ai cittadini
  • sviluppare un sistema per monitorare i progressi compiuti verso il conseguimento dell'obiettivo e riferire in merito a essi
  • garantire una transizione verde efficiente in termini di costi ed equa dal punto di vista sociale
A complemento, è previsto il rilancio della gestione sostenibile del territorio aperto, compromessa dall’infrastrutturazione e dall’espansione delle aree metropolitane, tramite l’impianto di tre miliardi di alberi entro il 2030.
Le misure chiave del pacchetto “Fit for 55” sono:
  • riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55 % al 2030 rispetto ai livelli al 1990
  • aumento della quota da fonti energetiche rinnovabili nel mix UE dall’obiettivo 32 % al 2030 all’obiettivo 40 % al 2030
  • tutti i nuovi edifici a emissioni zero al 2030
  • tutti gli edifici esistenti a emissioni zero al 2050
  • revisione della Direttiva sull’efficienza energetica
  • istituzione di un Fondo sociale per il clima
  • revisione della Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici

03 – Energy-policy UE nel settore delle fonti energetiche rinnovabili

La sfera delle fonti energetiche rinnovabili interessa trasversalmente tutti i macrosettori aventi rilevanti usi finali dell’energia, convenzionalmente ricondotti a: edifici, industria, trasporti. Si interseca per molti aspetti con la sfera dell’efficienza energetica, pur mantenendo le due sfere identità distinte, e venendo quindi gestite attraverso differenti atti di energy-policy.
La prima Direttiva comunitaria in materia di fonti energetiche rinnovabili è stata la 2009/28/CE, avente acronimo RED – Renewable Energy Directive. Essa contiene una definizione di fonte rinnovabile che, oltre a confermare le sorgenti tradizionali quali eolico, solare, geotermico e biomassa, ricomprende anche l’energia aerotermica e idrotermica.
“«energia da fonti rinnovabili»: energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas”
La biomassa, in particolare, viene definita in rapporto al potenziale di biodegradazione di un qualunque derivato dei settori agricoltura, allevamento, rifiuti urbani e rifiuti industriali.
“«biomassa»: la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”
La Direttiva stabilisce un quadro comune per la produzione di energia da fonti rinnovabili e fissa obiettivi vincolanti a livello di singoli Stati membri riguardo la quota di consumo finale lordo di energia da coprire tramite fonti rinnovabili e riguardo l’incidenza delle fonti rinnovabili nel settore dei trasporti.
Tramite il meccanismo c.d. ‘burden sharing’ l’obiettivo complessivo medio comunitario al 2020 di copertura del 20 % del consumo finale lordo di energia da coprire tramite fonti rinnovabili viene ripartito in funzione della capacità produttiva dei singoli Paesi, tenendo conto sia degli impianti di produzione già installati sia del potenziale di ulteriore sviluppo. A livello italiano il meccanismo c.d. ‘burden sharing’ è stato riadattato per suddividere a livello di singole Regioni l’obiettivo medio nazionale del 17 % al 2020, rispetto al 5,2 % al 2005.
Successivamente nel 2018, in vista del conseguimento degli obiettivi al 2020, e al fine di impostare gli obiettivi al 2030, è stata pubblicata la Direttiva (UE) 2018/2001, avente acronimo RED-II.
La Direttiva stabilisce un quadro comune per la produzione di energia da fonti rinnovabili e fissa un obiettivo vincolante complessivo comunitario al 2030 di copertura tramite fonti rinnovabili del 32 % del consumo finale lordo di energia.
La Direttiva aggiorna inoltre la definizione di fonte rinnovabile, inserendo la dicitura generica e per certi versi interpretabile di ‘energia dell’ambiente’ in sostituzione delle precedenti più circoscritte diciture ‘aerotermica e idrotermica’.
“«energia da fonti rinnovabili» oppure «energia rinnovabile»: energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare (solare termico e fotovoltaico) e geotermica, energia dell'ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas”
Uno dei concetti operativi-gestionali di maggior rilievo introdotti dalla Direttiva RED-II è la definizione di “comunità di energia rinnovabile”, che può essere intesa come forma di specializzazione del più ampio ambito di “comunità energetica”. Una comunità di energia rinnovabile viene individuata dalla Direttiva come una entità giuridica riconosciuta, di tipologia societaria, partecipata da persone fisiche, aziende, enti locali, ecc…, che opera in maniera autonoma sul mercato dell’energia, che è proprietaria degli impianti di produzione, i quali devono trovarsi in prossimità dei soggetti partecipanti, senza opzione di delocalizzazione. Nonostante che operi a livello di mercato dell’energia, una comunità dovrebbe avere come obiettivo principale il conseguimento di benefici ambientali / economici / sociali a vantaggio dei soggetti partecipanti, e non quello di trarre profitto dagli impianti di produzione.
In particolare, tra i soggetti partecipanti, la Direttiva individua e definisce l’‘autoconsumatore di energia rinnovabile’.
‘’«autoconsumatore di energia rinnovabile» un cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta purché, per un autoconsumatore di energia rinnovabile diverso dai nuclei familiari, tali attività non costituiscano l'attività commerciale o professionale principale’’
La energy-policy europea deve essere implementata a livello di singoli Stati membri, che sono chiamati a creare condizioni idonee allo sviluppo di comunità di energia rinnovabile, con particolare riferimento alle seguenti dinamiche:
  • produzione, consumo, stoccaggio e vendita di energia rinnovabile, anche attraverso il mercato elettrico
  • interscambio di energia rinnovabile all'interno della stessa comunità, prodotta tramite impianti di proprietà dei soggetti partecipanti alla comunità
  • accesso al mercato elettrico in forma diretta o tramite aggregazione, eliminando eventuali barriere o discriminazioni
Gli obiettivi 20-20-20 una volta fissati non sono stati rideterminati nel tempo, presumibilmente per ragioni di promozione dell’azione strategica e programmatica UE in rapporto all’anno 2020, fissato come deadline. I successivi obiettivi al 2030 non sono stati impostati con logica 30-30-30, ma modulati differenziando efficienza energetica, fonti rinnovabili e emissioni di gas serra. Inoltre, sono stati impostati come obiettivi in divenire, cioè da aggiornare periodicamente in considerazione di molteplici fattori politici, socioeconomici, ecc…
La Direttiva (UE) 2023/2413 RED-III ha innalzato al 42,5 % il target al 2030 rispetto al 32 % fissato dalla precedente Direttiva RED-II, inteso come obiettivo vincolante complessivo comunitario, e auspicando che ci sia uno sforzo congiunto da parte degli Stati membri per andare oltre, raggiungendo il 45 % al 2030.
Uno degli aspetti di avanguardia della Direttiva RED-III è incentivare in forma politica, non economica, l’introduzione nella filiera energetica di tecnologie innovative, che dovrebbero caratterizzare almeno il 5 % della capacità di nuova installazione sull’arco temporale 2023 – 2030, o comunque a far data dal recepimento della Direttiva nei singoli ordinamenti nazionali.
Focalizzando l’attenzione sul settore degli edifici, la Direttiva richiede a ciascuno Stato membro di fissare una quota nazionale indicativa di energia rinnovabile, prodotta da impianti localizzati in prossimità degli edifici serviti o prodotta da impianti delocalizzati ma comunque allacciati in rete, tale che, combinando i vari contributi dei vari Paesi, al 2030 sia coperto da fonti rinnovabili almeno il 49 % del consumo finale lordo di energia del settore degli edifici, inteso come macrodato a scala comunitaria.
La Direttiva richiede inoltre a ciascuno Stato membro di promuovere in generale l’implementazione di fonti rinnovabili negli impianti di climatizzazione, e in particolare l’elettrificazione degli usi finali dell’energia, in combinazione con sistemi di smart-energy-management a scala di edificio.

04 – Energy-policy UE nel settore degli edifici

La prima Direttiva comunitaria relativa all’efficienza energetica degli edifici è stata la 2002/91/CE, avente acronimo EPBD – Energy Performance of Building Directive. Intento complessivo era incrementare l’energy performance del settore edilizio tenendo conto in modalità combinata di fattori climatici esterni, fattori ambientali interni e efficacia sotto il profilo dei costi degli interventi di efficientamento rispetto al BAU – Building As Usual, sia per edifici nuovi che per edifici ristrutturati.
La Direttiva EPBD aveva incidenza su un esteso range di aspetti correlati all’edilizia, tra cui i più rilevanti:
  • definizione di un quadro generale metodologico per il calcolo del rendimento energetico integrato degli edifici
  • applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici di nuova costruzione
  • applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici esistenti (di ampia metratura) soggetti a ristrutturazione (importante)
  • implementazione della certificazione energetica degli edifici
  • regolamentazione della ispezione periodica di impianti tecnici per climatizzazione, specie se in esercizio da oltre 15 anni
In particolare, con riferimento alla certificazione energetica, si riportano due passaggi fondamentali del testo normativo.
“Gli Stati membri provvedono a che, in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l'attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario o che questi lo metta a disposizione del futuro acquirente o locatario, a seconda dei casi. La validità dell'attestato è di dieci anni al massimo.”
“L'attestato di certificazione energetica degli edifici comprende dati di riferimento, quali i valori vigenti a norma di legge e i valori riferimento, che consentano ai consumatori di valutare e raffrontare il rendimento energetico dell'edificio. L'attestato è corredato di raccomandazioni per il miglioramento del rendimento energetico in termini di costi benefici.”
Venivano gettate così le basi per una prassi applicativa ormai consolidata da oltre 10 anni, e che nel tempo ha plasmato la visione dell’efficienza energetica degli edifici estendendola dall’ambito degli addetti ai lavori, ovvero i tecnici edili, all’ambito del vasto pubblico, ovvero gli utenti finali.
Nel 2010 la Direttiva EPBD è stata “rifusa” tramite la Direttiva 2010/31/UE “EPBD recast”, in cui il termine inglese “recast” indica una complessiva rivisitazione di contenuti, obiettivi e modalità di conseguimento degli obiettivi, e la conseguente riformulazione generale del testo normativo.
Viene riconfermato l’intento complessivo di incrementare l’energy performance del settore edilizio tenendo conto in modalità combinata di fattori climatici esterni, fattori ambientali interni e efficacia sotto il profilo dei costi degli interventi di efficientamento rispetto al BAU – Building As Usual, sia per edifici nuovi che per edifici ristrutturati.
La Direttiva EPBD recast nuovamente andava a incidere su un esteso range di aspetti correlati all’edilizia, tra cui i più rilevanti:
  • definizione di un quadro generale metodologico per il calcolo della prestazione energetica integrata degli edifici
  • applicazione di requisiti minimi in materia di prestazione energetica di edifici o di singole unità immobiliari di nuova costruzione
  • applicazione di requisiti minimi alla prestazione energetica di
  1. edifici esistenti, unità immobiliari esistenti e in genere sistemi edilizi sottoposti a ristrutturazioni importanti
  2. riqualificazione energetica di singoli componenti dell’involucro edilizio aventi incidenza sulla prestazione energetica complessiva del sistema edificio
  3. riqualificazione energetica di singoli impianti tecnici per climatizzazione aventi incidenza sulla prestazione energetica complessiva del sistema edificio
  • messa a punto di piani nazionali volti ad aumentare il numero di edifici a energia quasi zero
  • implementazione della certificazione energetica a scala di edificio o di singola unità immobiliare
  • regolamentazione della ispezione periodica di impianti tecnici per climatizzazione
  • istituzione di sistemi di controllo indipendenti per gli attestati di prestazione energetica e per i rapporti di ispezione periodica degli impianti tecnici
La Direttiva EPBD recast ha rappresentato una pietra miliare per il settore dell’efficienza energetica degli edifici tramite la trasposizione dal piano accademico al piano regolamentare del concetto di edificio a energia zero, declinato in forma nZEB – Nearly Zero Energy Building, piuttosto che di NZEB – Net Zero Energy Building, e definito come
“«edificio a energia quasi zero»: edificio ad altissima prestazione energetica, determinata conformemente all’allegato I. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili, compresa l’energia da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze.”
La definizione era accompagnata da una chiara determinazione applicativa a livello di singoli Stati membri.
“Gli Stati membri provvedono affinché
a)    entro il 31 dicembre 2020 tutti gli edifici di nuova costruzione siano edifici a energia quasi zero
b)    a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi ultimi siano edifici a energia quasi zero
Gli Stati membri elaborano piani nazionali destinati ad aumentare il numero di edifici a energia quasi zero. Tali piani nazionali possono includere obiettivi differenziati per tipologia edilizia.”
Successivamente nel 2018, in vista del conseguimento degli obiettivi al 2020, e al fine di impostare gli obiettivi al 2030, è stata pubblicata la Direttiva 2018/844/UE, avente acronimo EPBD-III.
Tale Direttiva, che va a incidere su molteplici aspetti correlati all’efficienza energetica per macrosettori, focalizza l’attenzione in particolare sullo stock di edifici esistenti, marginalmente interessato da ristrutturazioni di entità tale da ricadere nel requisito nZEB. La consapevolezza che gli obiettivi al 2050 possono essere conseguiti solo attraverso l’efficientamento del parco edilizio esistente porta a individuare la necessità di strategie a lungo termine volte ad attenuarne progressivamente l’intensità di carbonio, per giungere infine alla completa decarbonizzazione. Tramite strategie a lungo termine dovrebbe essere possibile una estesa implementazione del concetto di edificio a energia zero, in combinazione con la parallela condizione di efficacia sotto il profilo dei costi.
La visione comunitaria viene contestualizzata a scala di singolo Stato membro, che è chiamato a renderla attuativa sul proprio territorio.
 “Nella strategia di ristrutturazione a lungo termine ogni Stato membro fissa una tabella di marcia con misure e indicatori di progresso misurabili stabiliti a livello nazionale in vista dell’obiettivo di lungo termine per il 2050 di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’Unione dell’ 80 95 rispetto al 1990 ciò al fine di garantire un parco immobiliare nazionale ad alta efficienza energetica e decarbonizzato e di facilitare la trasformazione efficace in termini di costi degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.
Attualmente a scala di Unione Europea il settore degli edifici rappresenta il 40 % del consumo energetico complessivo e il 36 % delle emissioni di gas a effetto serra complessive. Inoltre rappresenta oltre il 50 % del consumo comunitario di gas naturale, utilizzato prevalentemente per riscaldamento e produzione di ACS – Acqua Calda Sanitaria.
A livello statistico si stima che circa il 35 % dello stock edilizio esistente abbia oltre 50 anni che quasi il 75 % non sia energeticamente efficiente. A fronte di questo scenario non rassicurante, tuttavia il tasso medio annuo di riqualificazione energetica è limitato al 1 %.
Al fine di fare convergere il settore degli edifici nel più ampio traguardo del Green Deal europeo, nel 2020 la Commissione Europea ha presentato la strategia “Renovation Vawe”, ondata di ristrutturazioni, che dovrebbe investire il parco edilizio esistente sull’arco 2020-2030 raddoppiandone il tasso medio annuo di riqualificazione energetica. Parallelamente la Commissione Europea ha avviato una radicale revisione della regolamentazione EPBD, portando verso la formulazione della Direttiva ‘Case Green’.
La Direttiva ‘Case Green’ aggiorna in maniera sostanziale il quadro strategico e programmatico a medio termine, intervenendo in modalità combinata su edifici nuovi e ristrutturati e riconducendo gli obiettivi specifici di energy performance agli obiettivi generali fissati dal pacchetto di misure “Fit for 55”. Estende inoltre la prospettiva oltre il 2030. In particolare
  • ciascuno Stato membro deve dotarsi di una strategia nazionale per ridurre il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16 % al 2030 e del 20-22 % al 2035
  • la strategia deve assicurare che almeno il 55 % della riduzione di consumo sia ottenuta agendo su edifici di classe G
  • il 16 % degli edifici non residenziali in classe G deve essere riqualificato entro il 2030 e il 26 % entro il 2033
  • è previsto un format di APE standardizzato a livello comunitario, per meglio informare gli utenti finali e agevolare le strategie di investimento a scala comunitaria
  • l’azione programmatica viene supportata da incentivi e altre misure finanziarie a protezione delle fasce deboli di utenti finali
La strategia “Renovation Vawe”, ondata di ristrutturazioni, viene declinata come
  • piani nazionali di riqualificazione degli edifici per impostare le strategie nazionali di decarbonizzazione dello stock edilizio ed eliminare le barriere di mercato
  • schemi nazionali di passaporto di ristrutturazione degli edifici per guidare i proprietari nei passaggi verso l’obiettivo zero emissioni
  • sportelli unici dedicati a proprietari, imprese e altri attori della filiera per fornire supporto tecnico e orientamento specialistico
  • i requisiti prestazionali per gli edifici riqualificati devono tenere conto del benessere termoigrometrico degli ambienti interni basato sulla qualità ottimale degli ambienti interni
Si evidenziano due elementi di forte innovazione nell’ambito della regolamentazione EPBD. Da un lato l’esplicitazione dell’obiettivo zero-emissioni, inteso come sostitutivo dell’obiettivo zero-energia, in modo da stabilire una diretta relazione tra riqualificazione energetica e eliminazione dei gas serra. Dall’altro l’affiancamento a requisiti propri del sistema edificio, quali l’energia e le emissioni, di paralleli requisiti riconducibili all’utente finale, sotto forma di qualità ambientale indoor.
Il requisito ‘zero-emission’, assieme al requisito ‘solar-ready’, diviene il punto di riferimento per la progettazione dei nuovi edifici. Tale requisito trova rispondenza nell’eliminazione di usi finali dell’energia direttamente alimentati da combustibili fossili, ovvero nell’eliminazione di sorgenti locali di emissioni. A compensazione, la predisposizione per la solarizzazione termica e/o fotovoltaica delle coperture dei fabbricati dovrebbe costituire una valida alternativa di fornitura energetica, spostando al tempo stesso il baricentro del mix di approvvigionamento da combustibili fossili a fonti rinnovabili.
E’ previsto un progressivo phase-out dei combustibili fossili, riconducibile a step predefiniti e scalari nel tempo
  • dal 1 gennaio 2025 sono vietati incentivi all’installazione di termosingoli alimentati da combustibili fossili
  • la prospettiva è eliminare completamente i generatori termici alimentati a combustibili fossili entro il 2040
  • a far data dal recepimento della Direttiva Case Green negli ordinamenti nazionali vengono vietati impianti di riscaldamento alimentati a combustibili fossili negli edifici di nuova costruzione
  • le disposizioni di phase out non si applicano ai sistemi ibridi e ai generatori termici in grado di funzionare anche con combustibili rinnovabili
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Ultimo aggiornamento della pagina 1 febbraio 2024
 
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